
RAVENNA – Tanti curiosi e appassionati d’arte hanno riempito la Fondazione Sabe per l’Arte di Ravenna, nella sera di giovedì 29 maggio, in occasione della conferenza del critico d’arte Luca Maggio che ha proposto un suggestivo confronto fra due artisti imolesi quasi coetanei: “Andrea Raccagni e Germano Sartelli: alle radici dell’Arte Povera?”. Un tema non casuale se si considera che la galleria ravennate, fino al prossimo 29 giugno, ospita la mostra personale di Raccagni, “Vortice cosmico”, a cura dello storico e critico d’arte Claudio Spadoni, che – contemporaneamente – ha curato anche la mostra in corso al museo San Domenico di Imola dedicata a Sartelli, “L’incanto della materia”. «Ci è sembrato interessante approfondire il rapporto di sana competizione professionale tra i due artisti che, con le loro sperimentazioni e intuizioni, hanno anticipato opere di Arte Povera», ricorda in apertura Pasquale Fameli, direttore artistico della Fondazione Sabe per l’Arte.
La riflessione di Luca Maggio, che si è appassionato all’Arte Povera in occasione di un’iniziativa per conoscere più da vicino la Collezione Ghigi-Pagnani, parte da una premessa: «Malgrado le loro ricerche informali negli anni Cinquanta, Raccagni e Sardelli non possono essere considerati due artisti poveristi o pre-poveristi», per poi chiarire cosa si intende per Arte Povera. «Un movimento artistico nato negli anni Sessanta – spiega – il cui manifesto fu scritto da Germano Celant nel 1967 su “Flash Art”. Gli artisti che ne fanno parte creano una rottura, anche ideologica, rispetto a quanto accaduto sino ad allora. Parlano anche di una ‘guerriglia’. Non vogliono più un’arte commerciale che sembra sempre più di ‘serie’. Utilizzando materiali poveri e semplici, desiderano riconnettere la vita e l’arte e far sì che il fruitore non sia più passivo ma parte attiva dell’opera. Le loro opere sono così naturali che spesso invecchiano, si rovinano o marciscono in base ai materiali con cui sono realizzate». Come quelle fatte con l’insalata di Giovanni Anselmo. Altri esempi noti? L’opera Margherita con fuoco di Iannis Kounellis che, anziché avere una corolla, ‘sputa’ fuoco. Pino Pascali realizza Balla di fieno, 32 Metri quadrati mare circa e Contropelo, Michelangelo Pistoletto la sua Venere degli stracci, Alighiero Boetti Io che prendo il sole a Torino, Pier Paolo Calzolari si spinge a usare il ghiaccio, la margarina, il piombo fuso. Ci sono poi diversi artisti stranieri come Richard Long e Michael Heizer, artisti di Land Art, le cui opere diventano l’ambiente stesso.
Come si collocano Sartelli e Raccagni che sono rimasti fuori da questo movimento, sviluppando ciascuno un proprio percorso sul territorio? «Sartelli realizza le prime opere verso la fine degli anni Cinquanta – racconta Luca Maggio che ha il blog Arte Mosaico Ravenna e che collabora con Pallavicini22 Art Gallery –. Senza dubbio è stato un grandissimo scultore, in grado di lavorare il filo di fieno come quello di ferro, e persino la cartina di sigaretta. Da una parte c’è la poetica dello scarto, dall’altro è stato tra i primi a essere contattato per portare l’arte terapia in Italia e a realizzare mostre con i suoi allievi-pazienti. Nelle sculture in ferro si occupa della forma umana, mentre usa ragnatele, legni, carta e qualsiasi altro materiale in natura per i paesaggi. Negli anni Settata si innamora della Polaroid e scatta delle foto di paesaggi e di vimini che sono pre-bozzetti. Con gli artisti dell’Arte Povera ha quindi in comune l’utilizzo di materiali poveri, ma senza aver dietro alcun tipo di ideologia o guerriglia. Rispetto a Raccagni poi, Sartelli ragiona, pensa l’opera, è un informale ‘freddo’, non va d’istinto».
La carriera di Raccagni è fatta di momenti di istinto e di geometria formale. Negli anni Quaranta dipinge paesaggi con un vago eco morandiano, poi comincia a fare opere pre-informali, i primi vortici, la parte irrazionale. Poi arriva la parte metafisica e razionale, che si manifesta con i Funghi di Chernobyl negli anni Ottanta. «Per alcuni rientra tra gli ultimi naturalisti – ricorda Maggio –, ma poi prende una piega diversa perché la materia diventa centrifuga, esplode, esce dal quadro e così nascono i Liberi. A differenza di Sartelli, lui rimane sempre pittore perché non rinuncia mai al colore anche sul ferro. Anche Raccagni rompe il mercato come gli artisti di Arte Povera, anche lui realizza foto che sono porzioni della realtà circostante e sembrano anticipare i Cretti di Alberto Burri».
«In definitiva – conclude –, Sartelli parte dalla materia umile naturale, lo scarto, la trasforma e crea un’opera in cui la materia è sempre riconoscibile. Nelle opere di Raccagni invece i sassi e i frammenti della natura sono più delle metafore. Due poetiche differenti con piccoli labili punti di tangenza con l’Arte Povera che però è qualcosa di diverso».