25 aprile, l’intervento della presidente Anpi di Bologna Anna Cocchi in occasione del 78° anniversario della Liberazione in Piazza Nettuno

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BOLOGNA – Martedì 25 aprile 2023 la città di Bologna ha celebrato il 78° anniversario della Liberazione. La commemorazione ufficiale si è svolta in piazza del Nettuno.

Questo l’intervento della presidente Anpi di Bologna Anna Cocchi.

Buongiorno e grazie per essere intervenuti così numerosi a celebrare il 78esimo Anniversario della Liberazione.

È sempre una grande emozione e una forte responsabilità parlare avendo alle spalle le immagini delle partigiane e dei partigiani. Davvero si sente il peso dei loro sguardi, davvero si sente l’urgenza di non lasciare cadere il testimone.

Oggi più che mai, a fronte di troppi rigurgiti neofascisti, dobbiamo avere la certezza che le loro morti non sono state vane.

Il Sacrario ci ricorda che Bologna, città Medaglia d’oro per la Resistenza, sa bene cos’è stata la guerra. Accanto al Sacrario dei Caduti, voluto qui perché era qui che venivano fucilati i partigiani, c’è anche la lapide che ricorda le 85 vittime della strage del 2 agosto 1980. Bologna, città Medaglia d’oro al valor civile, sa bene cos’è la solidarietà.

Resistenza e solidarietà. Lotta al nazifascismo di allora e argine contro il neofascismo dell’oggi.

La nostra città sa parlare con i simboli e con i gesti:

Il medagliere dell’Anpi e il gonfalone del Comune, le bandiere delle brigate, le lapidi, le pietre di inciampo e le piazze piene tutti i 25 aprile e tutti i 2 agosto e ogni volta che c’è stato e che ci sarà bisogno di esserci e di farsi sentire, Bologna c’è.

Noi l’abbiamo sempre saputo che la bomba alla stazione era inserita nel tentativo di eversione messo in atto dai neofascisti. Strage fascista c’è scritto sulla lapide alla stazione. Ora c’è anche la verità giudiziaria.

Con l’ultima sentenza per la prima volta i magistrati accusano la P2 di Licio Gelli di essere qualcosa di molto di più di un gruppo eversivo che affiancava gli stragisti, era un gruppo che decideva.

Finalmente, quindi, grazie all’indefesso impegno dell’associazione dei famigliari, siamo arrivati ai mandanti e ai finanziatori. La strage – cito dalle motivazioni della sentenza – “non è stata certo conseguenza dello spontaneismo armato di gruppi neofascisti, ma un obiettivo importante della strategia della tensione”. I fascisti, quindi, volevano colpire al cuore le istituzioni democratiche. E ancora, scrivono i giudici, “simbolica l’opzione di colpire il capoluogo emiliano, città simbolo della Resistenza in Italia nonché da sempre portatrice di valori progressisti e democratici”.

La strage del 2 agosto serve a ricordarci, come non manca mai di sottolineare il caro Gildo Bugni, che il fascismo non è finito nel 1945.

Grazie, quindi, ai giudici, grazie agli avvocati di parte civile e grazie a Paolo Bolognesi, a Torquato Secci primo presidente e all’associazione dei famigliari delle vittime. Sappiate che avrete sempre l’Anpi al vostro fianco.

Se siamo in tanti qui oggi, pur essendo un martedì mattina, è perché il 25 aprile è una di quelle date che nei calendari sono segnate in rosso. Non si va a scuola, non si va al lavoro e gli uffici sono chiusi perché è una festa nazionale, una festa di tutti. Nel calendario civile che scandisce il nostro tempo il 25 aprile è una delle date fondamentali: si celebra la Liberazione dal nazifascismo, l’Italia torna ad essere un Paese libero e democratico.

Sento l’esigenza di sottolineare queste, che a molti – certamente a tutti voi che siete qui – possono sembrare cose scontate, perché temo che sia ancora da raggiungere l’obiettivo che il 25 aprile sia davvero una festa condivisa da tutti. Quindi può essere utile un breve e veloce ripasso per ricordare come ci si è arrivati.

Dal 1922 al 1943 l’Italia ha vissuto sotto un regime dittatoriale segnato dalla soppressione di tutte le libertà fondamentali, dalla repressione violenta degli oppositori, dalla vergogna delle leggi razziali e dalla sciagurata entrata in guerra a fianco della Germania nazista. Si è trattato di un periodo segnato da lutti, violenza, miseria e distruzione.

Contro il regime fascista hanno combattuto uomini e donne meravigliosi, di straordinario coraggio, animati dalla convinzione – per citare il presidente cileno Salvador Allende – che possa valere la pena anche morire per cose senza le quali non vale la pena vivere. Una di queste era la libertà.

Dopo la caduta del fascismo, l’armistizio con le forze alleate e la fuga vergognosa dei reali, gli italiani diventano i nemici dei nazisti presenti in forze nel nostro Paese.

È l’8 settembre del 1943 e l’esercito è allo sbando. Il regime fascista era crollato in luglio ma Mussolini aveva dato vita alla Repubblica di Salò, un regime collaborazionista con la Germania nazista.

Agli antifascisti della prima ora, a chi aveva combattuto in difesa della repubblica in Spagna, si aggiungono uomini e donne stanchi della guerra, determinati a cacciare i nazisti per costruire un Paese nuovo, migliore e democratico.

Quella che si è combattuta, quindi, non è stata una guerra di italiani contro tedeschi, la Storia non si può riscrivere.

Accanto all’esercito nazista, c’erano le italianissime camice nere della Repubblica di Salò. I sopravvissuti alle stragi e agli eccidi hanno sempre testimoniato che, assieme agli ordini urlati in tedesco, si sentiva parlare il dialetto locale.

A Monte Sole come a Sant’Anna di Stazzema.

Lo hanno detto i testimoni, lo hanno ribadito la verità storica e la verità giudiziaria.

Ed erano italiani anche quelli che hanno spinto a calci e pugni il 30 gennaio del 1944 su un treno diretto ad Auschwitz la bambina Liliana Segre.

Lo ha ricordato di recente il presidente Sergio Mattarella: i regimi fascisti sono stati complici dell’orrore nazista. E i martiri delle Fosse Ardeatine non sono stati uccisi perché italiani ma perché antifascisti o perché ebrei.

Dall’altra parte c’erano gli antifascisti, uomini e donne molto diversi tra loro. È bene ricordare che la Resistenza è stata un fenomeno plurale.

Durante la Resistenza il 50% degli effettivi partigiani militava nelle Brigate Garibaldi. Su 5.122 condannati dal Tribunale speciale del fascismo – cito lo storico Giovanni De Luna – 4.900 erano comunisti. Il 30% era di Giustizia e Libertà, il restante 20% era diviso tra socialisti, cattolici, monarchici, anarchici, repubblicani. Senza dimenticare la brigata ebraica. E senza dimenticare gli 800 mila militari che si rifiutarono di combattere a fianco dell’esercito nazista.

Durante il ventennio furono i comunisti, quindi, la forza di opposizione numericamente più rilevante nello schieramento che si oppose a Mussolini.

Ma, è bene sottolinearlo, è stato l’antifascismo che li ha indotti a lottare per la libertà e la democrazia.

Tra gli antifascisti c’erano operai, contadini, intellettuali, professionisti, studenti, parroci. I Pertini e gli Amendola, le Tina Anselmi e le Irma Bandiera, i Bobbio, le Jotti, le Merlin, i Nenni, gli Enzo Biagi e i don Dossetti, i Dante Drusiani nome di battaglia Tempesta e il suo amico Vincenzo Toffano nome di battaglia Terremoto, trucidati sul calanco di Sabbiuno a 19 anni … tutti uniti da una radicale scelta di campo: battersi per la libertà e la democrazia.

Donne e uomini che hanno resistito e che sono riusciti a cambiare il corso delle cose e che, con la loro scelta, hanno permesso all’Italia di riscattarsi dalla vergogna del ventennio.

Hanno detto di no all’oppressione nazifascista per schierarsi dalla parte dei valori umani.

La Resistenza è stato uno spartiacque morale prima ancora che politico ed è quella scelta di campo che da lì a poco porterà alla nascita della Repubblica e alla promulgazione della Costituzione. La Costituzione antifascista, quindi, di cui quest’anno ricorre il 75° anniversario.

Una Costituzione antifascista nata da un grandioso lavoro dei nostri padri e delle nostre madri costituenti che sono cresciuti e si sono formati nella Resistenza, al confino, in esilio, nella lotta incessante al nazifascismo.

Questa è la nostra identità nazionale, non ne abbiamo altre.

Perché antifascismo è sinonimo di democrazia.

Troppo spesso ci tocca di assistere a tentativi maldestri di delegittimazione dell’antifascismo come esperienza fondante della Repubblica e, contestualmente, di neutralizzare il fascismo storico.

Attenzione: non si tratta di una sgrammaticatura.

Da parte della destra che oggi guida l’Italia c’è l’incapacità di dare un giudizio storico, morale e politico del fascismo, negandone l’autoritarismo e la pratica della soppressione della libertà. Il male assoluto è stato definito.

Quello che si sta mettendo in atto è un uso ideologico della storia, falsificandola nel tentativo di rendere tutti uguali.

Invece no, non erano tutti uguali. Anche il partigiano più scalcagnato, salito in montagna perché renitente alla leva, ha combattuto assieme a chi ha dato anche la vita per la libertà, mentre dall’altra parte c’era chi sosteneva barbarie e violenza.

Lo diceva già Norberto Bobbio: “c’è una destra che punta a buttare nello stesso calderone i totalitarismi del Novecento e che, attraverso l’assimilazione tra fascismo e comunismo vuole in realtà equiparare fascismo e antifascismo, per dar loro pari dignità”.

Peccato che l’antifascismo sia un valore costituzionale, solennemente scolpito nella XII disposizione finale, peccato che chi è al governo abbia giurato su quella Costituzione.

La Costituzione, la nostra stella polare secondo la bellissima definizione usata da Liliana Segre che non ha mancato di sottolineare, presiedendo la prima seduta del Senato della XIX legislatura, che: “Se le energie che da decenni vengono spese per cambiare la Costituzione – peraltro con risultati modesti e talora peggiorativi – fossero state invece impiegate per attuarla, il nostro sarebbe un Paese più giusto e anche più felice”.

Tutto il suo discorso è una dichiarazione d’amore per la nostra Costituzione “non un pezzo di carta – ha detto la senatrice – ma il testamento di centomila morti caduti nella lunga lotta per la libertà”.

Carissima Liliana Segre, con la sola tua autorevole presenza, riesci sempre a ridare dignità al nostro Paese e ad indicare la giusta rotta alle ragazze e ai ragazzi. Per questo non finiremo mai di esserti grati.

Citando la Segre mi torna in mente il caro Carlo Smuraglia, presidente emerito dell’Anpi, che non mancava mai di ricordare che la vera rivoluzione sarebbe la piena applicazione della Costituzione.

C’è ancora molto da fare. Per questo mi rivolgo alle ragazze e ai ragazzi, così tanto bistrattati e ignorati da un mondo che non li capisce e non li ascolta.

Mi rivolgo a voi avendo bene in mente che alla vostra età tanti partigiane e partigiani sono stati chiamati a compiere scelte importantissime e dirimenti che sono costate loro sofferenze, paura, privazioni, esilio, carcere e tante volte, anche la vita. Ma è grazie al loro impegno e alla loro lotta che oggi viviamo in un Paese democratico fondato sui valori sanciti dalla Costituzione nata, appunto, dalla Resistenza.

Avete il dovere di non dare nulla per scontato, nessun diritto è acquisito una volta per tutte. Il vostro è uno sguardo capace di guardare lontano, conoscete le lingue straniere, amate viaggiare.

Vi sarà facile, quindi, vedere come in Paesi nemmeno troppo distanti, cose che per noi sono scontate come la libertà di pensiero, di potersi muovere, di amare chi si vuole, di vestirsi come si vuole, di compiere autonomamente e senza costrizioni i tanti gesti della vostra vita, altrove non lo sono affatto.

Vi invito quindi a studiare bene quel periodo di storia segnato da lutti, miseria, distruzione e dalla mancanza di libertà, che ha avuto come unico merito quello di aver formato, nell’antifascismo e per la democrazia, una classe dirigente di uomini e donne straordinarie.

E vi esorto a battervi per la piena applicazione dei diritti sanciti dalla nostra Costituzione.

Il diritto al lavoro e i diritti nel lavoro.

Il diritto ad una scuola libera e gratuita capace di formarvi come donne e uomini del futuro, come cittadini attenti e consapevoli prima che come professionisti;

il diritto alla salute senza distinzione di codice di avviamento postale;

il diritto ad un ambiente sano e sostenibile; il diritto a progettare il futuro e, soprattutto, il diritto di vivere in un mondo di pace.

Sono talmente tante le guerre in atto nel mondo – la terza guerra mondiale a pezzi l’ha definita Papa Francesco – che è in corso una sorta di assuefazione, ci stiamo talmente abituando alla guerra tanto da parlare con una disinvoltura disarmante di guerra nucleare. E a proposito di guerra.

È senz’altro urgente che la diplomazia, e nello specifico la diplomazia europea, recuperi quanto prima il suo ruolo ma, è altrettanto vero, che quello che serve alla martoriata Ucraina è una pace giusta e che non si può scendere a patti con un feroce dittatore responsabile anche dell’assassinio di bambini.

Cari ragazze e care ragazzi c’è ancora molto da fare e non ci sarà nessuno che lo farà al posto vostro. Ricordatevi che i diritti, se non sono per tutti, sono solo dei privilegi e non è certo che per dei privilegi si sono battuti i vostri coetanei di allora.

E, immagino, non è certo una società pensata per dei privilegiati quella che avete in mente.

Diventate i nuovi partigiani, battetevi per un mondo più giusto!

Buon 25 aprile e viva la Resistenza!