Unibo. Rifiutare il razzismo, abbandonare l’Europa. Il caso di Alexander Fallik

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Partendo dalla documentazione recuperata nell’Archivio storico di Ateneo, il prof. Gian Paolo Brizzi, Professore emerito in Storia dell’Alma Mater, presenta i ritratti di alcuni studenti ebrei

logo-uniboBOLOGNA – In occasione della Giornata della memoria (27 gennaio), l’Alma Mater ricorda la storia di studenti ebrei provenienti da Paesi dell’Europa Centro-orientale che, per sottrarsi alle misure antisemite in vigore nel proprio Paese, proseguirono gli studi all’Università di Bologna, finché le leggi razziali non allontanarono da Bologna 49 docenti (ordinari, liberi docenti, assistenti) e circa 500 studenti ebrei stranieri.

È difficile poter conoscere la sorte di quei giovani studenti e studentesse la cui vicenda umana, per gli effetti di quella improvvisa diaspora, ha lasciato negli Archivi di Ateneo solo rarissime tracce: l’assenza di ulteriori notizie indirizza il pensiero al destino funesto che accomunò gli ebrei d’Europa negli anni della Shoah.

Oggi il ritratto di Alexander Fallik, a cura del Professore emerito Gian Paolo Brizzi, storico, già Direttore dell’Archivio storico dell’Università di Bologna (2000-2015) e attuale Presidente del Centro interuniversitario per la storia delle università italiane (Cisui).

Lo studente polacco Alexander Fallik, nato nel 1917 a Drohobycz (odierna Drohobyč, Ucraina), si trasferì con la famiglia a Vienna per l’attività del padre, un commerciante, e qui il giovane Alexander compì l’intero ciclo degli studi preuniversitari.

Desideroso di iscriversi alla Facoltà di Medicina, a causa delle crescenti difficoltà per gli ebrei di accedere a tale facoltà, Alexander scelse di trasferirsi all’estero e scelse l’Alma Mater che in quegli anni esercitava un forte richiamo per gli ebrei dei Paesi dell’Europa Centro-Orientale.

Iscritto alla Facoltà di Medicina, frequentò i due primi anni di corso a Bologna, finché la situazione precipitò: nell’aprile del 1938 l’annessione dell’Austria alla Germania nazista (Anschluss) sconsigliava il rientro a Vienna e le leggi razziali introdotte in Italia interruppero ogni possibilità di poter continuare gli studi.

“Diversa fu la sorte di Alexander Fallik: grazie al fortunato incontro con il figlio Elazar (professore della Hebrew University di Gerusalemme) mi è stato possibile ricostruire l’avventurosa vita del giovane Alexander – racconta il prof. Brizzi – Abbandonata Bologna, Alexander fu aiutato dal fratello maggiore Max a procurarsi i documenti necessari per cercare di raggiungere Eretz Yisrael, la Terra d’Israele: unitosi ad alcune centinaia di ebrei che intendevano raggiungere clandestinamente la Palestina, giunto in vista della costa si lanciò in mare raggiungendo la riva a nuoto, evitando in tal modo il sicuro internamento in uno dei campi profughi controllati dagli inglesi. A Tzirifin si unì alla Haganà, formazione paramilitare, che lo inviò in un reparto di addestramento e nel 1940 poté essere arruolato nel secondo plotone della Brigata ebraica dell’esercito britannico ed impiegato, per la fluente conoscenza di ben quattro lingue, negli interrogatori dei prigionieri tedeschi.

“Passato successivamente in Sicilia, – continua il prof. Brizzi – il giovane risalì con l’esercito inglese verso Montecassino, Roma e infine Firenze dove il suo reparto venne acquartierato. Dopo l’arresto, nell’aprile del 1945, di Rodolfo Graziani, Fallik fu incaricato di unirsi quale interprete alla scorta che condusse a Roma il prigioniero e in quella circostanza entrò in contatto con uno zio di Graziani, professore di medicina alla Sapienza. Quell’incontro rappresentò per A. Fallik la speranza di riappropriarsi della vita civile e della sua passione per gli studi di medicina. Rientrato in Israele e smobilitato, ottenne dal suo governo una borsa di studio per riprendere gli studi a Roma dove si laureò in medicina nell’aprile del 1948”.

Rientrato in patria e specializzatosi in psichiatria, Alexander esercitò a lungo la professione medica in varie città, partecipando anche come medico militare alla guerra arabo-israeliana (1948-1949), e dirigendo infine, a Tirat Shalom, un ospedale di riabilitazione. Morì oramai novantenne nel dicembre 2006.

27 gennaio, Giornata della Memoria

Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa liberò il campo di concentramento di Auschwitz. Da quel momento l’orrore dei campi di sterminio si palesò alle coscienze degli uomini di tutto il mondo e, nel 2005, l’Assemblea generale dell’ONU scelse quella data per rinnovare il ricordo e perpetuare la conoscenza di quell’abominio. L’evento suscitò un rinnovato impegno degli storici che, ricostruendo i molteplici passaggi che favorirono la realizzazione di quel progetto di sterminio, hanno posto in evidenza l’irresponsabile silenzio delle pubbliche istituzioni.

Dopo 80 anni dall’adozione delle leggi razziali, i rettori italiani riuniti a Pisa hanno riconosciuto le responsabilità degli atenei per la passiva applicazione dei provvedimenti di espulsione adottati contro gli ebrei, affermando “non dobbiamo obbedire mai più a ciechi intendimenti che calpestino la ragione e annullino la dignità dell’uomo”.