L’attore ravennate Cristiano Caldironi co-protagonista de “Il canto di Alina”, premiato al Trieste Film Festival

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Caldironi con cappello al centro

RAVENNA – L’attore ravennate Cristiano Caldironi è tra i protagonisti del film “Il canto di Alina”, pellicola che ha appena vinto il Premio Corso Salani alla trentaseiesima edizione del Trieste Film Festival, una delle più importanti manifestazioni dedicate al cinema dell’Europa centro-orientale. Un evento che celebra le narrazioni più autentiche e le opere cinematografiche d’autore. Prostituzione, immigrazione, abusi, violenza di genere e ribellione: sono questi i temi di un film che segna l’esordio cinematografico delle registe Ilaria Braccialini e Federica Oriente del collettivo Oxymoro Creative Studio, gruppo di giovani film-maker di cui fanno parte anche Daniele Talenti e Denis Shalaginov.

Grazie anche al riconoscimento ottenuto al Trieste Film Festival, il film “Il canto di Alina” uscirà nelle sale italiane la prossima primavera distribuito dall’etichetta indipendente milanese Lo Scrittoio.

«Sono molto felice per questo importante riconoscimento, per cui devo ringraziare il destino – racconta Caldironi, che di recente è stato l’attore principale nel film “Acqua alle corde” di Paolo Consorti, nel cortometraggio “Oplà e si vola” e in altri due progetti in uscita nella primavera 2025 –. Ho accompagnato una persona cara al provino e, per puro caso, la produzione mi ha chiesto se volevo concorrere anch’io ma per un altro ruolo, visto che avevo le caratteristiche del personaggio maschile che stavano cercando. E alla fine mi hanno preso». Un episodio che si è rivelato fortunato per il docente e fondatore di ATC – Accademia Teatro Cinema e del Circolo degli Attori, visto che quello che inizialmente doveva essere il lavoro conclusivo del percorso di studi di un gruppo di ragazzi appassionati di cinema, è stato poi rifinanziato per diventare il loro primo lungometraggio scelto al Trieste Film Festival.

«Se l’idea mi appassiona, mi piace partecipare e dare fiducia a progetti low budget indipendenti – spiega Caldironi – perché consentono di lavorare spesso con registi emergenti, con nuove idee, sperimentazioni e visioni innovative. Per me che lavoro nel settore da tanti anni, recitare al fianco di giovani talenti, dotati di grande energia e creatività, è un modo per continuare a mettermi in gioco, continuare a cercare e scoprire cose nuove, entrando in contatto con nuovi punti di vista, importanti anche per la mia crescita professionale e personale». Caldironi ha interpretato Lorenzo, un tassista friulano di mezza età che viene rapito dalla protagonista Johana (Caterina Turci), una delle tante migranti sulla rotta balcanica che – giunta in Italia – decide di ribellarsi e fuggire al racket della prostituzione, a differenza di Alina (Adriana Papana) che invece soccombe. «Si tratta di un incontro salvifico – afferma Caldironi – perché i due evolvono insieme, inconsapevolmente, cercando di salvarsi, si tengono a galla a vicenda. Per me un altro anti eroe, dopo Angelo Santini in “Acqua alle corde”, un’altra sfida: interpretare un uomo che non ammicca al pubblico, non risolto, o solo in parte, forte e debole come lo è un essere umano, che dopo l’incontro con Johana è costretto a uscire ed entrare fuori dal suo taxi, o meglio da se stesso, dando vita a una convivenza forzata che cambierà entrambi».

Il premio Corso Salani premia i film indipendenti. «Lavorare in un’opera prima di un film indipendente – conclude Caldironi – è pazzesco, dà forti stimoli perché si è lontani da tutti i meccanismi commerciali e di altra natura. Abbiamo dedicato ore al training e al confronto, prima delle riprese. Nel film e in tutta la crew, c’è stato un contagio di energia creativa collettiva, un inno al lavorare insieme con umiltà e creatività».

Merito delle due giovani registe: Ilaria Braccialini, formatasi come attrice teatrale alla Scuola Galante Garrone di Bologna e Federica Oriente, da sempre appassionata di pittura e fotografia, entrambe cofondatrici di “Oxymoro Creative Studio”. «La decisione di unirci in una coregia – affermano le registe – nasce dalla volontà di un confronto con qualcun altro che condivida la stessa urgenza, ma una diversa visione della realtà; infatti non vogliamo cadere nella scontata etichetta della regia al femminile che racconta un dramma femminile. La coregia è una sfida che ci sprona a crescere, a non accontentarci mai, a uscire dalla nostra limitata esperienza personale. Il team di lavoro è ben più ampio della regia e non è mai stato limitato da alcuna binarietà di genere, bensì arricchito dalla diversa sensibilità al tema di ognuno».