Gianluigi Colin – Quel che resta del presente dal 23 settembre al 19 novembre a Piacen

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Gianluigi Colin – Liturgia – credits Fausto Mazza

PIACENZA – Gianluigi Colin

Quel che resta del presente
A cura di Achille Bonito Oliva
23.09.22 – 19.11.22 Stradone Farnese 33 Piacenza
Enrica de Micheli e la Fondazione Donatella Ronconi Enrica Prati invitano all’anteprima stampa, incontro con l’artista e visita alla mostra venerdì 23 settembre 2022 dalle ore 12.00
Per informazioni — info@volumnia.space
Una complessa e monumentale installazione site-specific dà vita alla mostra di Gianluigi Colin nella galleria Volumnia a Piacenza.
Gianluigi Colin (Pordenone, 1956) da molti anni lavora sul dialogo tra immagini e parole. In particolare, il centro del suo lavoro è il sistema dei media, la dimensione del tempo e il valore della Memoria.
Questa mostra, curata da Achille Bonito Oliva, rappresenta per Gianluigi Colin una nuova
ed impegnativa sfida: lo spazio imponente della cinquecentesca Chiesa di Sant’Agostino, coraggiosamente fatto rinascere da Enrica De Micheli, ha spinto infatti Colin a confrontarsi in un corpo a corpo con gli impegnativi spazi densi di storia e avvolti da una naturale spiritualità.
La mostra è stata possibile anche grazie al coordinamento di Luigi De Ambrogi, il progetto allestitivo dello studio Baldessari e Baldessari e uno speciale progetto delle luci di Davide Groppi. La mostra si inserisce nel programma di XNL APERTO: progetto dedicato alle arti contemporanee nato dalla sinergia tra istituzioni pubbliche e soggetti privati del territorio piacentino.

Colin ha dato vita a una mostra interamente pensata ad hoc per gli spazi della chiesa, presentando due nuovi cicli di lavori molto diversi sul piano della rappresentazione, ma uniti dall’uso degli stessi materiali e dallo stesso linguaggio dell’astrazione.

Complessivamente si tratta di 60 tele, alcune anche di grandi dimensioni, più una monumentale installazione nella navata centrale della Chiesa.
Da una parte, infatti, Gianluigi Colin ha deciso di collocare le sue opere astratte (che ha chiamato “Impronte,” caratterizzate dal fatto di essere materiali di pulizia delle rotative di stampa di quotidiani o di libri) esattamente là dove prima c’erano le cinquecentesche pale d’altare: opere cariche di memorie di parole e di figure, qui dissolte in segni, striature dai colori tenui o accesi che suggeriscano un’idea di meditazione e riflessioni sulla fragilità dell’esistenza.
crediti fotografici: Fausto Mazza