Consiglio comunale, l’intervento di apertura del sindaco Matteo Lepore in ricordo di Miriam Ridolfi

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Al termine il Consiglio ha osservato un minuto di silenzio

BOLOGNA – In apertura della seduta odierna del Consiglio comunale, il sindaco Matteo Lepore è intervenuto con un ricordo di Miriam Ridolfi, scomparsa nei giorni scorsi. Al termine il Consiglio ha osservato un minuto di silenzio.
Di seguito l’intervento del sindaco Lepore.

“Saluto i famigliari, gli amici, i cittadini presenti che anche questa mattina hanno voluto salutare per l’ultima volta in sala Tassinari, Mirian Ridolfi. Saluto le consigliere e i consiglieri, è qui accanto a me la vicesindaca Emily Clancy e altri componenti della giunta, per ricordare una persona importante per tutti noi, sia da un punto di vista personale che istituzionale.
Vorrei partire da alcune parole che sono contenute in un libro che sarà presto pubblicate da Pendragon che le renderà accessibili a tutti, libro al quale Miriam ha lavorato molto insieme a Maurizio Minghetti:

‘La risposta della città di Bologna fu davvero esemplare, come scrissero anche tutti i giornali dell’epoca e come ampiamente descritto nella seconda parte di questo libro da Maurizio Minghetti. Io, che ho accolto tutti i familiari delle vittime e dei feriti e tutti gli scampati nel Centro di coordinamento istituito in Comune fin dalle 10.40 del 2 agosto, del lavoro di quei giorni ricordo soprattutto i silenzi delle famiglie, lo sgomento dei feriti più lievi e dei coinvolti, e anche l’angoscia di quanti per un caso erano scampati e di chi non avendo notizie dei propri figli temeva che fossero coinvolti – feci appello alla radio perché quanti erano in vacanza contattassero i loro cari per tranquillizzarli. E poi il dolore inconsolabile, straziante e muto di chi ha dovuto riconoscere, da qualche brandello di veste o da una fede nuziale, i propri congiunti: ho vissuto direttamente il significato del lutto, quando nessuna ragione ti soccorre, quando ti domandi a vuoto perché e sai che non si tratta né di malattia né di errore umano.
E così, i familiari delle vittime sono diventati miei familiari.
Ricordo la carezza che il presidente Pertini mi fece poco prima di affiancare il sindaco Zangheri ai funerali del 6 agosto, e il richiamo del sindaco Zangheri al dovere di svolgere fino in fondo la propria parte.
Tornai a casa per la prima volta la sera del 6 agosto. Avevo il desiderio incontenibile di abbracciare i miei figli e mia suocera Cesarina che mi aveva sostituito in quei giorni, senza lamentele, ‘senza farmela pagare (…) così, insieme a lei, ho finalmente pianto. Fu mia suocera a lavare e a conservare il vestito che in tutti quei giorni avevo indossato: me lo restituì molti anni dopo, prima di morire (…) così l’ho conservato”.

Queste sono le parole che Miriam Ridolfi ha deciso di farci arrivare attraverso questo libro e attraverso tante sue storie e testimonianze che ha speso una vita per tramandare, in particolare in quanto lei, come assessora in carica in quel momenti da pochi giorni, ebbe il compito di coordinare i soccorsi dopo la Strage del 2 Agosto. Da questa sua esperienza ha fatto una vita di impegno e di mobilitazione, di attivismo, per convinceretanti, tutti noi, quanto fosse imortante per Bologna avere un progetto dedicato alla memoria di quei giorni.

E sempre in questo libro, prende in prestito le parole di una scrittrice, Nathalie Sarthou-Lajus in L’arte di trasmettere (Qiqajon, 2018), per raccontare come fosse centrale per lei la memoria e il progetto che ci avrebbe regalato:

‘C’è una forma di disorientamento che blocca il susseguirsi delle generazioni, caratteristica di ogni età di transizione (…).Nell’indottrinamento l’intenzione è quella di rendere l’altro identico a sé stessi, l’autentica trasmissione è invece un’educazione alla scelta e alla libertà individuale (…) ed è viva solo se incita a riappropriarsi dell’eredità, solo se fa spazio all’interpretazione e alla creazione.
Con le nuove tecnologie, la pedagogia non può più basarsi sulla sola verticalità della relazione maestro-scolaro e si ispira maggiormente al modello della corporazione e degli apprendisti di un tempo, facendo riferimento a una rete di pari e con la valorizzazione del momento in cui si cerca, o in cui si va a tentoni, da soli o insieme.
Trasmettere è dunque condividere una ricerca di verità a partire dalla quale si formano lo spirito critico e la creatività personale: “l’eredità è viva solo attraverso la ripresa inventiva dei figli e lo spossesso dei genitori, in cui si tesse l’avventura di ogni filiazione e di ogni successione’.

Da queste considerazioni era nata lo scorso anno, in vista del quarantesimo anniversario, la proposta di Miriam, intitolata Staffetta di Memoria.
Miriam scrisse: “Ai ragazzi soprattutto dedico questa mia testimonianza perché sono certa che nelle loro mani genererà forme nuove di solidarietà, così come io ho imparato una nuova solidarietà con l’Associazione dei familiari delle vittime della strage del 2 agosto che ha avuto il merito in questi lunghi quarant’anni di Resistere”.

Credo che queste parole che Miriam ci ha consegnato per raccontare la sua esperienza di assessora coordinatrice dei soccorsi e per descrivere in nuce il progetto Staffetta della Memoria, rappresentino chiaramente quella che è l’eredità civile e politica che Miriam Ridolfi lascia alla città. Le ho volute citare in apertura per ricordarla dopo che ci ha lasciato nei giorni scorsi in questa sala, dopo averle dato dato l’ultimo saluto poco fa, sempre qui a Palazzo d’Accursio.

Miriam era una compagna alla quale tutti eravamo legati, anche attraverso generazioni diverse. Siamo rattristati e per noi il suo ricordo rimane anche come una dolce nostalgia delle esperienze che insieme, per pochi minuti o per anni, abbiamo potuto condividere con lei. La sua grinta, la sua voglia di andare avanti era comunque un determinato impegno, dal forte valore politico e il suo era un lavoro istituzionale continuo anche quando aveva dismesso i panni dell’assessore o successivamente quelli di direttrice scolastica e insegnante. È stata ‘una partigiana di giustizia e verità’, come lei stessa amava definirsi riprendendo le parole di Torquato Secci, il primo presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime della strage del due agosto .

Da giovane assessora ricevette la delega al Decentramento della giunta del sindaco Renato Zangheri e in virtù di queste sue deleghe ebbe un fondamentale e importantissimo ruolo di coordinare i soccorsi durante lo scoppio della bomba alla Stazione di Bologna il 2 agosto 1980. Sin da subito, come raccontò più volte, comprese che quello che stava accadendo in città era un fatto dalla portata storica. E così con quello spirito di servizio e di solidarietà, che contraddistingue spesso, anche attraverso le sue parole, questa terra, si mise subito al lavoro, coordinando i primi soccorsi e dando vita al primo centro di coordinamento. Un punto di accoglienza attivo giorno e notte, in cui tutte e tutti erano chiamati a dare una mano e fare la propria parte. Con la sua gigantesca umanità, Miriam riuscì a trasformare quei momenti tragici in un’opportunità di comunità, che unì in maniera indelebile Bologna non solo alle bolognesi e ai bolognesi, ma anche a tutte le italiane e gli italiani che condividono con noi questo ricordo. Da allora nacque nelle nostra città una nuova stagione di civismo. Il dramma del 2 agosto 1980 diventò, anche grazie alla sua capacità di tenerci assieme, un momento di comunione sovra cittadino, in cui nella tragedia e aldilà della tragedia tutti si riunirono sia nel cordoglio che nell’azione.
Quella stessa umanità e capacità di trovare una coralità concreta ed efficace che valse a Bologna la Medaglia d’oro al valor civile, conferita dal Presidente Pertini proprio per l’organizzazione della strategia dei soccorsi, che fu poi fonte di ispirazione di tante esperienze istituzionali e di coordinamento.

Il ruolo di Miriam fu poi fondamentale per la fondazione dell’Associazione dei familiari delle vittime e nel far sì che non solo la nostra città non lasciasse sole le famiglie, ma che l’Italia intera fosse con loro passo dopo passo, nella ricerca della giustizia e della verità.
Una ricerca per cui Miriam si è battuta incessantemente, fino a poter vedere le motivazioni di una sentenza monumentale, quella del 5 aprile scorso, che ha finalmente fatto luce in modo chiaro sugli intrecci neri che legano gli esecutori della strage al secondo livello, quello dei mandanti, degli organizzatori e dei finanziatori.
Per Miriam, la ferita insanabile di quel terribile due agosto si è trasformata in un motivo di impegno civile durato tutta una vita. Fondamentali per generazioni di bolognesi, soprattutto ragazzi e ragazze, le sue riflessioni e i suoi racconti sulla strage che ha trasmesso nelle tante iniziative e nei tanti incontri a cui ha partecipato in oltre quarant’anni. Perché ‘non smettere di raccontare significa per ogni lutto far vivere ancora, stare a fianco, far crescere da quelle radici una nuova pianta, mantenere la vita cui ognuno di noi appartiene’, così scriveva nel 2021 (tratto da le “Storie di Miriam”, maggio 2021).

Come dicevo all’inizio, Miriam rappresenta tante cose per Bologna. E non possono non ricordare un altro aspetto altrettanto importante che ha caratterizzato la sua vita e ha contribuito ad imprimere un cambio di passo nella visione cittadina dell’educazione, come patrimonio comune, da tutelare, alimentare, innovare.
E cioè il suo ruolo come direttrice del Liceo Augusto Righi, che ha svolto in modo encomiabile per quasi vent’anni, e la sua collaborazione per le Biblioteche di Bologna. Questa mattina ho visto peraltro tanti studenti e studentesse di ogni età portarle un saluto, persone commosse e sorridenti, convinte di aver conosciuto una persona importante nella propria vita come lo sono le maestre e i maestri.

Fondamentale anche la battaglia che Miriam portò avanti in difesa delle biblioteche cittadine, contro quelle che venivano definite le esternalizzazioni. Fu a quel tempo che conobbi direttamente Miriam, allora non ero assessore alla Cultura, ma ebbi modo di incontrarla in particolare per la biblioteca Malservisi, in zona Lame. Ci furono raccolte di firme, tante associazioni che si mobilitarono, tanti cittadini che allora decisero di chiedere all’Amministrazione comunale in cui ero assessore di fermare una ipotesi di sperimentazione che per la prima volta avrebbe esternalizzato a una gestione terza, così si diceva, una biblioteca comunale, dopo tante battaglie per poterle riunificare in un unico coordinamento e in un’unica istituzione, che fecero tante associazioni e comitati durante la giunta Guazzaloca.
Allora ebbi modo di incontrarla, lei chiese di me e di incontrarmi in una saletta della biblioteca. Voglio raccontarvi questo episodio personale perché è un dettaglio che credo rappresenti una fotografia di quello che era il metodo di Miriam. La trovai con il suo vestito a fiori, seduta al tavolo della sala di lettura, non mi disse molto, non mi chiese di condividere una raccolta firme, non mi parlò male dell’Amministrazione, non mi disse niente di negativo. Mi consegnò le sue storie e mi iniziò a raccontare cosa faceva lei ogni giorno con i giovani, con i cittadini con i bambini, che fossero nati nella città o altrove, in quella biblioteca. Così, nel raccontare quella che era la sua esperienza personale, quella di essere un’educatrice, una narratrice di storie, mi convinse, incontro dopo incontro, dell’importanza di una biblioteca senza mai parlarmene. Fu un’occasione per me per comprendere quale valore all”interno delle nostre biblioteche, dei nostri spazi di pubblica lettura vi è racchiuso attraverso la partecipazione delle persone, attraverso le relazioni che possiamo coltivare. E credo che questo metodo, della Staffetta della Memoria, di cui lei più volte ci ha parlato, rappresenti esattamente questo: il fatto che noi possiamo decidere formule differenti, ma quello che conta è come interpretiamo lo spazio pubblico, il nostro impegno civile e la nostra vita in questa città.

Ecco perché credo che il profilo di Miriam rappresenti appieno il profilo di una persona figlia della nostra terra, al servizio dello stato, al servizio di un’educazione pubblica e repubblicana, capace di fare della nostra Costituzione una visione quotidiana nelle azioni più fragili e dolci della nostra vita insieme.

Ecco perché credo che come Amministrazione comunale dobbiamo oggi un forte ringraziamento a Miriam e soprattutto un incoraggiamento a tutte le persone che l’hanno incontrata e conosciuta, le tante persone che da Miriam sono state ispirate.

Cara Miriam, da Bologna, città che affonda le proprie radici nella cultura della solidarietà e dell’antifascismo, continueremo a portare avanti il tuo lavoro. Porteremo la tua testimonianza ‘per una staffetta di memoria che solo i bambini e i ragazzi possono fare’, convinti che la solidarietà ha bisogno di coordinamento e di organizzazione, di continuità, perché la solidarietà deve diventare, il nostro modello di comunità e di cura dei beni comuni anche per il futuro.

Cara Miriam, tu lo sai perché insieme ai famigliari delle vittime ogni 2 agosto indossavamo i fiori bianchi dell’associazione: i tuoi insegnamenti e la tua storia resteranno impressi in ciascuno di noi e saranno una guida chi vorrà continuare a camminare, ogni anno, ogni giorno, in questa straordinaria città”.