Rimini

Beni confiscati alla mafia: la case history del Comune di Rimini

RIMINI – “Non mi piace essere facile profeta, ancor meno quando si avverano a discapito, come in questo caso, degli enti locali o dei comuni – ha detto l’assessore alle Politiche finanziarie e al Patrimonio del Comune di Rimini Gian Luca Brasini -. Esiste una legge in Italia dalle grandi potenzialità economiche e dall’altrettanto grande valore etico e morale E’ quella dell’utilizzo dei beni confiscati alla mafia, con potenzialità e ricadute enormi, una volta affidati in via prioritaria ai Comuni come il Codice antimafia prevede, se reimmessi sul territorio con politiche sociali positive, ma che nella pratica la burocrazia rende vano.

Devono passare degli anni – prosegue Brasini – prima che questi beni possano davvero rientrare nella disponibilità di un ente locale, e nessuno meglio di noi – ma purtroppo non siamo certo soli per essere centinaia e centinaia gli immobili confiscati in tutt’Italia – può affermarlo con certezza.

Era il 28 dicembre 2012, ormai 6 anni fa, quando l’Amministrazione ha manifestato l’interesse all’assegnazione di due immobili confiscati alla criminalità organizzata sul territorio riminese. Passa quasi un anno senza che si muova foglia, fino a quando, il 5 novembre 2013, l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità richiedeva al Comune la manifestazione d’interesse all’assegnazione di un solo bene presente sul territorio comunale, confiscato con Decreto del Tribunale di Bologna nel luglio 2010.

A stretto giro, appena un mese dopo la richiesta dell’agenzia, il Consiglio comunale approva un atto che ufficializza la manifestazione d’interesse per acquisire l’immobile in questione, in via Satirycon Fellini 1969, con l’obiettivo di destinarlo al progetto “Housing First”, importante percorso di supporto delle persone in condizioni di marginalità per l’inserimento in abitazioni autonome. Da lì, il nulla. Dalla data d’approvazione della delibera poi trasmessa all’Agenzia – era il 5 dicembre 2013 – non è ancora stata disposta l’assegnazione dell’immobile al Comune di Rimini. Abbiamo contattato, sollecitato, le risposte sono state le più varie ma il risultato – non demordiamo ma per ora è così – nullo. Un caso che avevamo già segnalato pubblicamente un anno fa, appunto.

Dopo la comunicazione del settembre scorso, in cui l’Agenzia Nazionale Beni Sequestrati alla criminalità organizzata” ci ha informato che il bene in questione è ricompreso tra i beni immobili atti alla vendita per il soddisfacimento dei creditori ammessi al credito (proprio così!), abbiamo sollecitato dopo più di sei mesi, nell’aprile di quest’anno, gli uffici statali sul territorio a farsi da tramite con la stessa Agenzia per essere aggiornati sull’avvenuta vendita o meno del bene. L’unica risposta ufficiosa dal funzionario di riferimento è che non risulta nessuna avvenuta vendita e di chiedere risposta ufficiale dal funzionario dell’Agenzia direttamente incaricato della suddetta pratica ai sensi della della L.241/90, quella sul diritto d’accesso ai documenti amministrativi.

Siamo veramente al paradosso se tra amministrazioni che devono collaborare per realizzare un interesse pubblico bisogna ricorrere e/o invocare una legge sulla trasparenza. Non è possibile che una disposizione dal così alto valore etico per una collettività che può tornare in possesso di beni sequestrati alla mafia e frutto dell’attività criminosa sul proprio territorio, sia vanificata dalle trappole di una burocrazia sorda e cieca. Una vera e propria case history di mala burocrazia che tutti noi, così come l’intero Paese, può più permettersi.”

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Pubblicato da
Roberto Di Biase

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