25 aprile: discorso del Sindaco di Parma Pizzarotti

56

PARMA – Discorso del Sindaco di Parma Pizzarotti:

“Concittadine e concittadini,
Buongiorno e buon 25 aprile a tutti.
Ringrazio di cuore questa calorosa piazza, così viva e gremita, simbolo di un’Italia che non dimentica i propri ideali.
Vi ringrazio perché in tanti, ancora una volta, sventolate bandiere colorate, indossate fazzoletti tricolore, scendete in piazza per celebrare il 25 aprile.
Lo fate perché ne avvertite l’urgenza, principalmente per due motivi.
Il primo è ricordare e celebrare l’Italia partigiana, il suo popolo ribelle e coraggioso, la storia romantica della Resistenza, l’anima viva di chi si è batte per la libertà.
Ricordare ci spinge ad avere memoria del passato: “Le cose che si dimenticano possono ritornare”, ci ammoniva giustamente Primo Levi.
La memoria infatti mostra le tragedie della storia, e indica all’uomo la strada del suo domani.
Il secondo motivo è una risposta di piazza, forte e convinta, al grigiore dell’epoca attuale.
Stiamo assistendo a un ripiegamento dei nostri valori.
Valori che ogni anno colorano e animano questa piazza, ed in nome dei quali anche oggi siamo qui.
Si fanno sempre più spazio nella società sentimenti antidemocratici.
L’uguaglianza tra le persone viene oggi minacciata da espressioni come: prima noi, poi forse gli altri.
L’errore sta esattamente nel concetto: dividere le persone, considerare “gli altri”, donne e uomini con meno diritti di noi.
Non solo. Assistiamo senza reagire a gesti di odio contro le minoranze etniche: recentemente nel quartiere Torre Maura di Roma, una folla ha gettato a terra e calpestato con disprezzo il pane destinato a famiglie rom, nell’indifferenza delle istituzioni nazionali.

Nel governo vi sono addirittura ministri che rifiutano di celebrare il 25 aprile, definendola una scaramuccia tra antifascisti e fascisti.
Chiedo: è questo il pensiero di chi ci governa?
È con queste parole che si onora l’Italia repubblicana e democratica?
Il 25 aprile non è la festa di alcuni, non è solo la festa di chi è presente in questa piazza.
Oggi è il giorno in cui l’uomo si è ripreso la dignità che aveva perduto.
Siamo testimoni diretti, infine, di un’intolleranza di parte della società verso il riconoscimento di nuovi diritti:
valga come esempio il gesto intimidatorio di Forza Nuova nei miei confronti, in quanto sindaco, e pure nei vostri confronti come cittadini, nel giorno in cui Parma ha riconosciuto a quattro bambini, figli di coppie omogenitoriali, gli stessi diritti di tutti gli altri bambini.
L’Italia e l’Europa si stanno avviando verso un freddo inverno, sono i fatti di cronaca a darne conferma.
L’acuirsi di atti xenofobi verso le minoranze, il proliferare di sentimenti antidemocratici, la negazione di diritti alla cosiddetta “famiglia non tradizionale” rappresentano il campanello d’allarme.
E di campanelli d’allarme, in questi anni, ne sono suonati tanti.
Se oggi ci affacciassimo alla finestra, vedremmo un mondo allontanarsi alla deriva.
Avviene perché in noi, da tempo, manca una presa di coscienza civile, forte e collettiva, quel sussulto unitario che ci fa dire: attenzione, stiamo abbandonando i fondamenti della nostra stessa civiltà.
È giunto il tempo di reagire, insieme.
Già Antonio Gramsci ci metteva in guardia dal pericolo rappresentato dall’indifferenza. L’indifferenza, diceva, va odiata, altrimenti tutto è perduto.
L’indifferenza è il vero male della nostra epoca. È tornata come sua abitudine: senza mostrarsi agli occhi degli uomini, ma penetrando piano piano in ognuno di noi.

In ognuno di noi, nessuno si senta escluso.
Una società indifferente sarà prigioniera di chi grida più forte.
Una società indifferente ha smesso di credere nel progresso;
una società indifferente ha smesso di progettare il futuro.
Se nel Paese vincerà l’indifferenza, significa che avremo rinunciato a sognare un’Italia migliore per noi e per i nostri figli.

Nell’avvertire la minaccia dell’indifferenza, ricordo il partigiano Annibale, il nostro Annibale.
Sempre il primo della fila. Aveva un sorriso per tutti. Saliva sul palco e ci ricordava il significato di parole come “sacrificio”, “responsabilità”, “volontà”.
Negli ultimi anni, quando la forza fisica lo stava abbandonando, lo sorreggevamo con discrezione, porgendogli una spalla.
Ma in verità era lui a sorreggere noi, assieme ai partigiani che ci hanno insegnato il valore della Resistenza.
Noi camminiamo più veloci e svelti, è vero, ma loro ci hanno dato la mano e indicato il cammino.
Hanno restituito cuore, valore e anima all’Italia.
Oggi, settantaquattro anni ci separano dal giorno della Liberazione: le voci della Resistenza si stanno affievolendo.
La nostra è la prima generazione di donne e uomini che vivrà del loro ricordo.
Nel tempo del bisogno e della paura, è come se improvvisamente ci ritrovassimo soli e proiettati in un mondo che non è più lo stesso.
Di fronte alla sfida di quest’epoca raccogliamo un’eredità pesante fatta di sacrifici, vita e battaglie.

Mi sento di dire che dobbiamo tutti esserne all’altezza, perché adesso tocca a ognuno di noi.
La Resistenza non è solo memoria del passato: se così fosse, ci limiteremmo a raccontare storie vissute da altri.
La Resistenza è una lotta incessante e senza quartiere all’indifferenza. I valori che esprime devono essere alimentati da azioni quotidiane.
La Medaglia d’oro che Parma indossa con orgoglio sul petto, attende nuovamente di tornare a brillare.
Sta a me, ad esempio, essere un buon sindaco che rispetta il tricolore e la Repubblica.
Che sa mettersi al servizio della città cercando di coniugare le aspettative e i sogni dei cittadini con il mondo del realizzabile.
Sta a voi essere buoni cittadini, che partecipano alla vita della città rispettandone le regole e le leggi, coscienti che la civiltà della comunità deriva dalla civiltà dei singoli.
Sta a tutti noi essere una buona comunità, che accoglie l’indifeso e protegge il più debole, difende i diritti di ognuno come fossero i suoi, paga le tasse e rispetta la città.
Essere antifascisti vuol dire odiare l’indifferenza. Odiare l’indifferenza significa essere buoni cittadini.
Essere buoni cittadini di una nazione nata e cresciuta sulle macerie del fascismo, infine, significa amarla, difenderne i valori, farsi coscienza collettiva quando l’indifferenza si affaccia sul palcoscenico della storia.
Questa è la strada da percorrere, oggi più che mai.
È il nostro fardello e la nostra responsabilità.
Non è troppo tardi.
Anzi, è il momento giusto, perché come diceva Gramsci: “Quando tutto è o pare perduto, bisogna mettersi all’opera ricominciando dall’inizio”.