«La crisi economica era lontana, la povertà relativamente ridotta, la pressione ambientale ancora poco sentita, lo spreco alimentare un fenomeno quasi sconosciuto», spiega Andrea Segrè, allora docente di Economia Agroalimentare, ideatore e fondatore dello spin off dell’Università di Bologna che ha cambiato nel tempo il modo di guardare allo spreco alimentare: dal recupero alla prevenzione, dal monitoraggio dei dati alla sensibilizzazione dei cittadini attraverso la campagna Spreco Zero. Un obiettivo diventato metodo e movimento di pensiero diffuso a livello internazionale.
«Dal 1998 – ricorda ancora Segrè – assieme a un gruppo di giovani studenti abbiamo studiato lo spreco alimentare come occasione di riscatto, promuovendo il dono come valore di relazionale fra chi ha un’eccedenza alimentare e chi soffre una carenza nutrizionale. Con i primi tentativi di applicazioni abbiamo capito che coniugare la solidarietà sociale con la sostenibilità ambientale ed economica – producendo meno rifiuti e riducendo i costi dello smaltimento – era possibile grazie a un sistema efficiente nell’uso delle risorse naturali ed economiche e rispettoso delle “risorse” umane. Un modello win win nel quale “vincono” tutti, donatore e donatario insieme all’ambiente».
«Questa è una storia di successo iniziata vent’anni fa», dice il Rettore dell’Università di Bologna Francesco Ubertini. «Un’avventura che nasce all’interno dell’Università partendo da un’idea originale, innovativa e ad alto impatto sociale che a poco a poco, grazie a studenti, ricercatori e docenti si trasforma uno spin-off. Una bellissima storia che testimonia le potenzialità delle università: quando si lavora insieme al territorio è possibile creare valore per tutta la società. È un bell’esempio di quello che oggi chiamiamo terza missione. Non a caso quest’esperienza è partita da un tema centrale – quello della sostenibilità – che oggi è uno degli assi portanti del piano strategico dell’Università di Bologna».
«Un modello – osservano Luca Falasconi e Matteo Vittuari, allora studenti ed oggi docenti al Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari – che nasce fra i banchi dell’Università e da lì si trasferisce dietro le scrivanie dapprima della Facoltà di Agraria e poi del Dipartimento di Scienze e tecnologie agro-alimentari, diventando progetto di ricerca. I risultati scientifici maturati in 20 anni sono tantissimi: tra i più importanti ci sono 22 articoli pubblicati in riviste indicizzate (altri ancora sono in fase di revisione), altri 36 tra monografie e articoli pubblicati in testate non indicizzate. Ma non possiamo non menzionare i 2 progetti finanziati dall’Unione Europea attraverso i fondi FP7 e Horizon 2020 e i tre progetti nazionali sostenuti e finanziati dai nostri Ministeri. Ed infine, ma non perché meno importanti, più di 100 tesi scritte (tra quelle di Dottorato e quelle di Laurea) da studenti che hanno contribuito con il loro sforzo e tempo al consolidamento scientifico dell’idea prima e del modello poi. Riprendendo la definizione di Schumpeter sull’imprenditore innovatore e trasponendola al ricercatore, il percorso che è stato fatto in questi 20 anni è stato quello di individuare e portare avanti nuove possibilità di ricerca, laddove tutti affermavano che avremmo fallito. I risultati si vedono: abbiamo realizzato nuovi prodotti e servizi, introdotto nuovi metodi di gestione dei prodotti alimentari, aperto nuovi mercati di sbocco attraverso il recupero a fini solidali».
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