La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature, è stata condotta da un team internazionale guidato da Jean-Jacques Hublin del Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology di Lipsia (Germania) e da Abdelouahed Ben-Ncer del National Institute for Archaeology and Heritage di Rabat (Marocco), a cui ha partecipato anche Stefano Benazzi, docente al Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna.
I nuovi reperti non solo retrodatano di circa 100 mila anni la prima testimonianza fossile di Homo sapiens, ma rivelano inoltre una storia evolutiva complessa dell’umanità, che coinvolge con ogni probabilità l’intero continente africano.
Noto fin dagli anni ‘60 per i fossili umani che ha restituito e per i suoi manufatti
Ma che aspetto avevano questi nostri antichissimi antenati? Già allora, assomigliavano molto a noi. Utilizzando tecniche di analisi digitale all’avanguardia, il team di ricerca ha infatti mostrato come lo scheletro facciale dei fossili di Jebel Irhoud sia pressoché indistinguibile dal nostro, mentre la forma della scatola cranica resta invece ancora allungata e piuttosto arcaica. Dati, questi, che suggeriscono come la morfologia facciale dell’uomo moderno si sia probabilmente formata prima della forma del cervello. Alcune recenti ricerche che hanno messo a confronto DNA antico estratto da Neandertaliani e Denisova con quello degli uomini moderni, hanno infatti mostrato differenze nei geni che incidono sul cervello e sul sistema nervoso. I cambiamenti evolutivi nella forma della scatola cranica sono quindi con ogni probabilità legati ad una serie di cambiamenti genetici che hanno inciso sulla connettività, l’organizzazione e lo sviluppo del cervello dell’Homo sapiens rispetto a quello dei nostri parenti e antenati estinti.
Picture credits:
1. Shannon McPherron, MPI EVA Leipzig, License: CC-BY-SA 2.0
2. Philipp Gunz, MPI EVA Leipzig, License: CC-BY-SA 2.0
3. Jean-Jacques Hublin, MPI EVA Leipzig
Altre immagini e video disponibili su: www.eva.mpg.de/homo-sapiens/presskit.html.
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