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Processo equo per Ilaria Salis, Maria Caterina Manca aderisce all’appello dei Presidenti dei Consigli comunali

BOLOGNA – Anche la presidente del Consiglio comunale di Bologna Maria Caterina Manca ha aderito all’appello per un processo equo per Ilaria Salis lanciato dai Presidenti dei Consigli comunali di ventiquattro città italiane tra cui Roma, Milano, Firenze, Genova, Palermo, Torino, Napoli, Venezia.

Nell’appello viene espressa “profonda preoccupazione per la situazione di Ilaria Salis, l’ex maestra elementare rinchiusa in un carcere di massima sicurezza a Budapest con l’accusa di avere aggredito due persone durante una manifestazione celebrativa che si svolge ogni anno per ricordare i soldati nazisti ungheresi deceduti durante l’assedio della capitale ungherese. Ilaria Salis si è sempre dichiarata innocente e rischia una pena fino a 24 anni di detenzione”.
I 24 presidenti chiedono “un intervento immediato alle autorità italiane, inclusi il Governo nazionale ed il Ministero degli Esteri, e all’Ambasciata Italiana in Ungheria affinché si adoperino prontamente e senza indugi per garantire che a Ilaria Salis sia riservato un processo equo ed una pena proporzionata alla gravità del reato contestato”.

Si richiede che “sia valutata l’opportunità di applicare la misura degli arresti domiciliari in Italia, come previsto dalla normativa vigente. Si tratterebbe di un passo fondamentale in direzione del rispetto dei diritti umani e della giustizia, che evidentemente vengono disapplicati nei confronti di Ilaria, che in occasione dell’ultima udienza è stata trasferita in aula legata mani e piedi. Un teatrino mediatico intimidatorio e brutale, lontano anni luce dalla cultura europea e del rispetto delle garanzie processuali dello Stato di diritto. Arrivati a questo punto l’intervento delle autorità italiane è cruciale per assicurare che venga garantito a Ilaria Salis un giusto processo. Non possiamo più aspettare un giorno e non possiamo più consentire che Ilaria rimanga ancora in luoghi di detenzione dove vengono calpestati i suoi diritti e le sue prerogative. Il processo è già una pena, ma questo accanimento rischia di farlo diventare una vera e propria tortura”.

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Pubblicato da
Roberto Di Biase

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