Ferrara

Ferrara: Per non dimenticare Antonio Gramsci

Venerdì 16 giugno, alle 10, nel chiostro di Santo Spirito è in programma  un incontro di studio a ottant’anni dalla scomparsa del grande intellettuale

FERRARA – Nell’ottantesimo anniversario della morte di Antonio Gramsci, l’Istituto di Storia Contemporanea, l’archivio storico del PCI e la Fondazione l’Approdo lo ricordano insieme.

L’incontro di studio avrà luogo venerdì 16 giugno, alle 10, nel chiostro di Santo Spirito per riflettere sull’attualità del suo pensiero politico.

A intervenire saranno Andrea Baravelli, docente di Storia Contemporanea dell’Università di Ferrara, Fiorenzo Baratelli, presidente dell’Istituto Gramsci, e il senatore Ugo Sposetti, che attualmente fa parte della Commissione Bilancio, Vigilanza e Anagrafe tributaria del Senato della Repubblica.

La biblioteca dell’Istituto possiede oltre duecento testi riguardanti la figura di Antonio Gramsci e la sua complessità. Per l’occasione ne saranno esposti alcuni, di fianco ai manifesti dell’archivio storico del PCI, che in parte è già stato indicizzato sul sito www.storiapciferrarese.it

«Io non parlo mai dell’aspetto negativo della mia vita, prima di tutto perché non voglio essere compianto: ero un combattente che non ha avuto fortuna nella lotta immediata, e i combattenti non possono e non devono essere compianti, quando essi hanno lottato non perché costretti, ma perché così hanno essi stessi voluto consapevolmente». Erano le parole di Gramsci alla madre, in una lettera che grida coraggio, datata 24 agosto 1931. Intellettuale e dirigente politico, la sua tormentata e dolorosa esperienza di prigioniero di Mussolini ebbe inizio l’8 novembre 1926, alla vigilia dell’approvazione delle “Leggi eccezionali fasciste”.

La sua vicenda carceraria e la prematura scomparsa lo hanno reso un martire e un eroe. Egli stesso, tuttavia, aveva rifiutato queste etichette: lo dimostra la lettera del 12 settembre 1927, rivolta al fratello Carlo, nella quale affermava di non voler fare «né il martire né l’eroe. Credo – proseguiva convinto – di essere semplicemente un uomo medio, che ha le sue convinzioni profonde, e che non le baratta per niente al mondo».

Il filosofo dall’approccio eclettico morì il 27 aprile 1937 in una stanza della Clinica Quisisana di Roma, a causa di un’emorragia cerebrale che l’aveva colpito due giorni prima. «Il giorno stesso in cui il giudice di sorveglianza del Tribunale di Roma – sottolinea Giuseppe Vacca, presidente della Fondazione Istituto Gramsci – gli aveva comunicato che, terminato il periodo della libertà condizionata, veniva sospesa ogni misura di sicurezza nei suoi riguardi». Il suo pensiero rimane di grande attualità.

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Pubblicato da
Roberto Di Biase

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