Echoes of Africa: mostra gratuita fino al 23 febbraio negli spazi dell’Opificio Golinelli

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BOLOGNA – Fino al 23 febbraio 2025, negli spazi dell’Opificio Golinelli, sarà visitabile gratuitamente, su prenotazione, la mostra Echoes of Africa, un nucleo di opere d’arte africane dalla collezione privata di Marino Golinelli.

Dopo I Preferiti di Marino. Capitolo I, Echoes of Africa è la seconda selezione aperta al pubblico di opere d’arte raccolte da un uomo straordinario che ha fatto dell’arte, come della scienza, la sua passione. L’arte amata non solo per il suo valore estetico ma per la sua capacità di stimolare riflessioni sulla bellezza che emerge dal confronto tra culture, linguaggi, media e tradizioni. L’esposizione offre uno sguardo originale sulla creatività contemporanea africana, proponendo un caleidoscopio di espressioni artistiche, tecniche e materiali, con 16 opere, tutte realizzate dopo il 2000, di altrettanti artisti e artiste di fama internazionale che affrontano temi universali come l’identità, la memoria, la spiritualità, la migrazione e la sostenibilità: Leila Alaoui, Jano Januario, Gonçalo Mabunda, Joël Andrianomearisoa, Abdoulaye Konaté, Rita Mawuena Benissan, Cameron Platter e Soly Cissé.
Attraverso un’attenzione particolare all’uso innovativo di materiali di recupero, tecniche artigianali tradizionali e un profondo simbolismo culturale, le opere in mostra propongono un dialogo tra tradizione e modernità, dimensione locale e globale, restituendo una visione potente e autentica dell’attuale panorama artistico africano. Ognuna delle opere esposte racconta una storia di resilienza e trasformazione, offrendo una narrazione visiva che sfida stereotipi e ridefinisce il ruolo dell’arte africana nel sistema dell’arte globale.

Le opere in mostra

Anyaeji Ifeoma, Owu (2015)

Artista nigeriana, ha sviluppato uno stile chiamato “Plasto-Art”, caratterizzato dall’unione di materiali di scarto e tecniche artigianali. Attraverso il riuso creativo di plastica non biodegradabile, le sue opere riflettono sulle sfide ambientali della Nigeria, concentrandosi sul delicato equilibrio tra tradizione e modernità. “Owu” (“filo”) è un’opera ispirata alla tecnica tradizionale nigeriana di intreccio dei capelli, “threading” (ikpa owu, in lingua Igbo), che l’artista combina con tecniche di cesteria e tessitura, dando vita a una scultura complessa e stratificata.

Leila Alaoui, Crossings (2013)

Fotografa e videoartista franco-marocchina, ha esplorato i temi della migrazione, dando voce agli emarginati e ai migranti attraverso un linguaggio visivo che fonde sapientemente il documentario e le arti visive. La serie fotografica “Crossings” documenta il viaggio arduo e pericoloso dei migranti subsahariani verso l’Europa, catturando il trauma collettivo e la speranza che accompagnano il loro lungo cammino. Alaoui – con un’opera che è al contempo un potente documento visivo e un atto di testimonianza – invita a riflettere su queste storie invisibili, sottolineando la resilienza e il coraggio di coloro che sfidano l’ignoto in cerca di un futuro migliore.

Soly Cissé, The Heat of the Summer (2010)

Artista senegalese, impiega l’arte come mezzo di attivismo sociale, esplorando tematiche come l’identità, la memoria, la spiritualità. Cresciuto a Dakar, in un contesto di turbolenze sociopolitiche, ha sviluppato uno stile neoespressionista combinando elementi figurativi e astratti con l’utilizzo di colori e pennellate vivaci. “The Heat of the Summer” è un trittico monumentale che attraverso una composizione ricca di tensione emotiva evoca la complessa interazione tra l’essere umano e l’ambiente. Disponendo sulla tela figure ambigue, che sembrano fluttuare tra passato e presente, Cissé invita lo spettatore a immergersi in un’esperienza simbolica, dove le culture si intrecciano e le tradizioni si scontrano.

Moffat Takadiwa, Vendors Teeth Tight (2016)

Utilizza materiali di scarto recuperati dalle discariche – come tappi o oggetti in plastica – per creare opere che riflettono su tematiche urgenti, come il colonialismo, l’identità culturale e l’ecologia. I suoi lavori assumono le sembianze di grandi arazzi contemporanei che, riprendendo i pattern tradizionali dei tessuti dello Zimbabwe, stimolano una riflessione sul ruolo che l’Occidente ha nel riempire l’Africa di spazzatura, in cambio delle sue ambite materie prime. “Vendors Teeth Tight” è un lavoro che evidenzia il contrasto tra il consumismo occidentale e la realtà dello sfruttamento delle risorse africane, richiamando l’attenzione sulla relazione tra abbondanza e povertà.

Jano Januario, Ilundu (2018)

L’artista utilizzando materiali eterogenei, come tessuti e fotografia, affronta questioni complesse relative alle dinamiche coloniali e alla globalizzazione. “Llundu” (“Iniziazione”) rappresenta un rito di passaggio, articolato in sei immagini: le figure, immerse in uno spazio oscuro e vuoto evocano introspezione e trasformazione, sottolineando il ruolo cruciale dei rituali nella costruzione dell’identità personale e collettiva. L’opera invita a riflettere su narrazioni culturali invisibili, sul legame tra corpo, memoria e resistenza. Januario dà particolare rilievo ai gesti, usando il corpo come veicolo per esplorare tradizioni e storie, passato e presente.

Bondo Vitshois Mwilambwe, Untitled (2011)

Con i suoi lavori esplora la complessità del corpo umano come spazio dove si intrecciano questioni di razza, genere, classe e sessualità. Attraverso la tecnica del collage frammenta e ricompone corpi e volti tratti da riviste. La destrutturazione visiva del corpo umano diventa simbolo di un’umanità in frantumi, vittima di sistemi oppressivi e iniqui. In “Untitled” (2011) il corpo smembrato diventa metafora della disintegrazione sociale e culturale: ogni frammento rappresenta una critica delle dinamiche di potere globali, suggerendo una riflessione su come i conflitti geopolitici abbiano sull’umanità un impatto devastante.

Samuel Nnorom, Conformational Dance (2023)

L’artista nigeriano esplora i confini tra tessuti, pittura e scultura, avvalendosi di materiali riciclati, in particolare stoffe africane stampate a cera. “Conformational Dance” rappresenta l’evoluzione della ricerca artistica di Nnorom, in cui bolle di tessuto colorato sono avvolte, cucite e sospese in una struttura intricata. L’installazione, ispirata dalle riflessioni dell’artista durante la pandemia di COVIDa19, rappresenta una metafora della fragilità e delle incertezze della vita contemporanea. L’uso del tessuto Ankara, arricchisce la narrazione visuale, con un forte rimando al tessuto sociale africano e alle sue molteplici interconnessioni.

Clay Apenouvon, Dans les yeux de ma mère (2017)

L’artista togolese, indaga questioni sociali ed ecologiche attraverso la trasformazione di materiali di uso comune. Il suo lavoro si concentra sull’uso simbolico di elementi come il cartone e la plastica, che diventano metafore delle tensioni tra consumismo e crisi ambientale. “Dans les yeux de ma mère”, un’installazione composta da materiali semplici, come la pellicola e le coperte di sopravvivenza, evoca emozioni profonde legate alla fragilità e alla vulnerabilità umana. L’opera richiama le esperienze migratorie, sottolineando la precarietà dell’esistenza e le sfide affrontate dai migranti.

Rita Mawuena Benissan, Wunhu se santen bi reba? (2023)

Artista di origine ghanese, reinterpreta la tradizione dell’ombrello reale, un oggetto storicamente associato ai capi tribali del Ghana, simbolo di protezione e prestigio. Nei suoi lavori, l’ombrello assume un nuovo significato, diventando emblema di identità culturale e bellezza collettiva.
“Wunhu se santen bi reba?” (Non vedete che sta arrivando una processione?) raffigura l’ambiente dinamico di un palazzo in preparazione per una processione cerimoniale. L’artista ha incorporato nell’opera un motivo kente e ha utilizzato in prevalenza il colore viola, simbolo di forza e regalità, per evocare il potere personale e il suo legame con l’identità ghanese.

Gonçalo Mabunda, Senza titolo (2016)

Scultore di Maputo, trasforma le armi della guerra civile del Mozambico in opere d’arte, invitando a riflettere sulla violenza e la capacità di resilienza delle società africane. Cresciuto durante il conflitto civile, Mabunda recupera materiali bellici, come parti di AK-47, lanciarazzi e pistole, per dar loro nuova vita creando troni maestosi. Mabunda trasforma strumenti di distruzione e morte, in un’installazione che, da un lato denuncia la brutalità della guerra, e dall’altro sottolinea l’abilità dell’arte di sublimare il dolore in bellezza. Le sue opere riflettono le cicatrici lasciate dai conflitti, creando una nuova narrazione che mette in discussione il rapporto tra potere e oppressione.

Abdoulaye Konaté, Koré Dougaw (2013)

Considerato uno dei maggiori esponenti dell’arte contemporanea africana, Abdoulaye Konaté affronta urgenti questioni sociopolitiche e culturali attraverso l’impiego di tessuti tradizionali. Le sue opere, offrono una riflessione universale sulle tensioni globali, invitando a interrogarsi su temi quali il tempo, la storia, la religione e il potere. In “Koré Dougaw” l’artista trasforma un manichino in una figura simbolica, avvolta in strisce di tessuto colorato. La combinazione di colori e materiali richiama le tradizioni del Mali, ma il suo significato va oltre, parlando di come la memoria collettiva e le lotte di potere si intrecciano nel corso delle generazioni.

Joël Andrianomearisoa, Untitled (Few of my favorite things) (2006)

L’artista malgascio, indaga le emozioni umane con un approccio multidisciplinare che integra architettura, pittura, scultura e artigianato tessile. Le sue opere sono costruzioni capaci di evocare un mondo intimo fatto di desiderio, speranza, perdita e disperazione. Il linguaggio visivo è caratterizzato da un uso poetico e stratificato dei materiali, profondamente influenzato dalla cultura malgascia. “Untitled (Few of my favorite things)” è un’installazione enigmatica, che sfida le definizioni tradizionali di scultura e installazione, trasformando materiali comuni in narrazioni emotive astratte.

Pascale Marthine Tayou, Fashion Street (2010)

Conosciuto per il suo approccio eclettico e ironico, Pascale Marthine Tayou usa materiali di recupero per riflettere sul concetto di villaggio globale e sulle relazioni tra l’essere umano e l’ambiente. Tayou affronta spesso anche temi legati al viaggio, all’incontro con l’altro e alle costruzioni sociali e politiche, invitando a ragionare sulla fluidità dell’identità e sul continuo cambiamento della realtà che ci circonda. “Fashion Street” è un’opera scultorea che combina cristallo e vari materiali, per formare una figura che ricorda un individuo mascherato. L’opera riflette sulle nozioni di identità e consumismo, offrendo una rappresentazione simbolica della complessità della vita contemporanea.

Outtara Watts, Les Fleurs du Mal I (2007)

L’artista usa simboli tradizionali, colori vivaci e motivi dinamici per esplorare le connessioni spirituali e culturali tra le persone. Trasferitosi a New York nel 1989 su consiglio dell’amico Jean-Michel Basquiat, Watts ha sviluppato un linguaggio visivo che combina arte tradizionale e contemporanea, fondendo elementi pittorici con la tecnica del collage. In “Les fleurs du Mal I” si ispira alle sue esperienze in Africa, alla sua formazione in Francia e alla vivacità multiculturale di New York, riflettendo sull’interconnessione tra culture. Attraverso l’uso di motivi e forme di diversa provenienza la sua arte supera confini geografici e culturali, trattando temi universali.

Cameron Platter, Stations II (2004)

Nato a Johannesburg e attivo a livello internazionale, Platter combina elementi di alta e bassa cultura per riflettere sulla società del consumo e sulla vita in Sudafrica. “Stations II” è un trittico di grandi dimensioni realizzato con matite colorate su carta, in cui Platter mescola immagini tratte dalla cultura popolare e dalla pubblicità, evocando concetti universali come il consumismo, l’amore e la violenza. L’artista si distingue per il suo approccio postmoderno, che attinge da fonti disparate e offre una critica sottile ma potente sulla realtà sociale.

Bodo Amani, Transformation de la chenille au papillon (La métamorphose à l’émergence) (2020)

L’artista congolese, esplora la spiritualità, la cultura e l’identità africana attraverso narrazioni visive che combinano realismo e surrealismo. Figlio d’arte, reinterpreta l’eredità pittorica congolese dando vita a opere intrise di simbolismo e mistero. “Transformation de la chenille au papillon (La métamorphose à l’émergence)” incarna una poetica relativa al cambiamento e alla rinascita – la metamorfosi della crisalide. Gli sfondi puntinati, noti come mwangisa, evocano un’atmosfera cosmica, vibrante e dinamica, accentuando l’evoluzione del soggetto raffigurato. L’opera sottolinea l’importanza del cambiamento interiore e dell’adattamento, intesi come tappe fondamentali dell’evoluzione di ogni essere umano.

Mostra: Echoes of Africa

Curata da: Fondazione Golinelli

Sede: Centro Arti e Scienze Golinelli | Opificio Golinelli, via Paolo Nanni Costa, 14 – Bologna
Modalità di visita: la mostra è visitabile fino al 23 febbraio
prenotando online una delle visite guidate gratuite:

giovedì 13 e 20 febbraio, alle ore 18;
venerdì’ 14 e 21 febbraio, ore 18;
sabato 15 febbraio, ore 15.15 e ore 17;
domenica 16 febbraio, ore 17;
sabato 22 febbraio, ore 17;
domenica 23 febbraio, ore 15.15 e ore 17.
Durante le visite guidate sarà possibile visitare gli spazi dell’Opificio Golinelli e ammirare altre opere della collezione privata del Cavalier Golinelli.
Info: mostra@fondazionegolinelli.it